Ora è ufficiale, l'Italia sta rapidamente diventando un paese di vecchi. Di giovani non ce ne sono più abbastanza. Non siamo soli in Europa - la Germania è messa male quanto noi - ma la cosa consola molto poco.
Ce lo dice in questi giorni il CENSIS con numeri tanto secchi da far rabbrividire: in dieci anni (dal 2000 ad oggi) il numero di giovani tra i 15 ed i 34 anni si è ridotto di 2 milioni. E menomale che nei numeri consideriamo giovani anche gli ultra-trentenni, perché altrimenti ci sarebbe da passare dai brividi al panico.
L'altra pessima notizia - non bastasse la prima - è che quei pochi giovani che abbiamo non saranno probabilmente in condizione di garantirsi un futuro (altro che garantirlo a noi cinquantenni o più) perchè studiano poco, studiano male (si laureano raramente e nemeno bene) ed hanno aspirazioni quasi nulle. Un numero impressionante di giovani si limita a vegetare in una sorta di limbo fatto di non-studio e non-lavoro; il lavoro, addirittura, hanno persino smesso di cercarlo o non hanno mai nemmeno cominciato.
La ricetta per produrre più giovani non sembra l'abbia ancora trovata nessuno: qualcuno propone semplicemente di importarli da dove ce ne sono in abbondanza, pochi mi pare abbiano idea di come fare a produrne in Italia, magari mettendo i trentenni italiani, i pochissimi che abbiamo, in condizione di pensare seriamente a metter su famiglia e prole.
Io dico la mia: mettiamo una tassa sui vecchi, una tassa di scopo, per aiutare i giovani. Io non ho ancora cinquant'anni, ma per dare il buon esempio un tassa così la pagherei volentieri e con convinzione. Anche se il mio dovere di produttore di giovani l'ho già fatto, due volte.
In Italia si racconta che all'estero siamo visti ancora oggi come "pizza e mandolino". La realtà dei numeri racconta tutta un'altra storia, fatta di eccellenze in un gran numero di settori produttivi. Anche moda, design e cibo, ma non solo, tutt'altro.
Per la mia esperienza, dopo vent'anni di rapporti di lavoro con gli USA, questa percezione dell'Italia è vera solo per una parte degli americani, nemmeno la maggior parte. Per quella parte di americani che in realtà non sa bene dove sia l'Italia, ma che a onor del vero ha un'idea altrettanto vaga della Francia o della Spagna.
Ad ogni modo, soprattutto in questo momento delicato per l'economia, ogni occasione deve essere buona per raccontare al mondo (americani certamente, ma il discorso vale pari-pari per cinesi, indiani, etc.) la vera Italia che produce, quella delle imprese innovative e dei prodotti d'avanguardia.
E siccome abbiamo una rete di "avamposti" ben strutturata, fatta di ambasciate, consolati, uffici dell'ICE e di chissà quante altre emanazioni di enti pubblici e privati, questa rete andrebbe coordinata e sfruttata per migliorare la nostra reputazione all'estero, come paese e come paese d'impresa. E' cosa impossibile?