La politica e le istituzioni iniziano ad interessarsi di startup. Lo fanno ancora timidamente, con molte incertezze e talvolta facendo sorgere il dubbio di cavalcare la novità senza particolare competenza. A giudicare da premi, concorsi, barcamp, workshop, blog, portali e portalini l'Italia è tutta un fiorire di iniziative di giovani startupper, con numeri vicini alle migliaia di nuove proto-aziende.
Ovviamente è il web il terreno più fertile, spinto dalla speranza di creare la nuova Google, la Facebook di domani o - per rimanere sul corto raggioo - la Groupon del mese prossimo, armati solo di un notebook e di buona volontà. Tra speranza e miraggio però è un attimo.
Seguo il mondo delle startup da qualche anno - no, tranquilli, non sono un "esperto di startup" come altri si qualificano - ma almeno tra le italiane la percentuale di successo mi pare ancora pericolosamente bassa, se non ai limite dei decimali. Ogni volta che ho modo di incontrare giovani startupper (ma anche meno giovani, che vuol dire quarantenni e cinquantenni) sento più o meno le stesse richieste, frutto dei medesimi bisogni, molte delle quali inevitabile conseguenza del nanismo del gruppo di lavoro e della carenza di mezzi.
Inizio a domandarmi se non ci sia un errore di fondo, di previsione e di misura: abbiamo davvero bisogno di migliaia di micro-startup? O non sarebbe meglio puntare a far nascere aziende già più grandine dall'inizio, più strutturate? Meglio migliaia di cantine o qualche centinaio di uffici decenti?