Forse avrete letto l'intervista a Repubblica di Giuseppe De Rita, fondatore e presidente del CENSIS. Io l'ho fatto e devo confessare che ho trattenuto a stento una certa euforia. Cosa ha detto - molto in sintesi - De Rita? Che in Italia si studia troppo (o meglio, troppo a lungo) e troppe cose inutili per il lavoro che si fa o che si vorrebbe fare. L'intervista evidenzia soprattutto un problema relativamente alle professioni manuali (molte delle quali ormai "riservate" a lavoratori immigrati perché snobbate e abbandonate dagli italiani) ma non solo. Per ragioni ideologiche - sostiene De Rita - abbiamo di fatto rifiutato l'idea di una "formazione per il lavoro" cancellando o quasi gli Istituti Tecnici e privilegiando invece diplomi generici, lauree brevi e tutta una serie di percorsi formativi "lunghi" che hanno creato attese ed aspirazioni che il mercato del lavoro non è poi in grado di soddisfare.
De Rita prosegue con riferimenti alla proposta del Ministro Tremonti di "tornare al lavoro manuale", imparando (sembra paradossale) proprio dal percorso che stanno facendo un numero significativo di immigrati, ovvero dal lavoro manuale all'avviamento di piccole imprese. Non vuoi accettare il lavoro manuale? L'unica via è "la formazione in azienda, promossa e finanziata con un piano pubblico grazie al quale soprattutto i piccoli imprenditori siano incentivati a prendere in azienda i precari e formarli".
Secondo De Rita, proprio questo meccanismo (chiamarlo praticantato non è una bestemmia n.d.r.) è di fatto stato alla base della crescita economica italiana dal dopoguerra alla fine degli anni '80.
Personalmente condivido molto di quanto ha detto De Rita, con la precisazione magari che il diritto a studiare "materie inutili" è e rimane sacrosanto, ma che questo diritto non può poi trasformarsi ad un diritto automatico al lavoro, come invece mi pare avvenga ormai da qualche tempo.
Una sintesi dell'articolo pubblicato su Repubblica lo trovate qui:
http://rassegnastampa.mef.gov.it/mefnazionale/View.aspx?ID=2011041818445191-1