27. febbraio 2023 12:19
by Alessandro Nasini
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Rilevo brutti segnali del fatto che una parte non trascurabile dei fondi del PNRR, in nome dell'innovazione, verranno di fatto usati dalla P.A. (in varie vesti e vari modi) per fare concorrenza alle imprese private. Non è cosa nuova, ma con il PNRR è peggio.
Oggi pomeriggio, come contributo ad una iniziativa di INFORMAGIOVANI del Comune di Roma, terrò un intervento sul tema "Cosa fa di te un imprenditore?" seguito da una (spero lunga) sessione di domande e risposte dal pubblico.
Non è una domanda facile e dopo più di trent'anni di impresa non ho ancora certezza assoluta della risposta. Certamente non c'è una risposta univoca valida per tutti, in ogni paese e per ogni tempo. Altrettanto certo (questo ormai possi dirlo) è che in Italia un imprenditore deve avere alcune caratteristiche (non voglio chiamarle qualità) che altrove non solo non sono richieste ma spesso nemmeno capite quando un italiano ne parla all'estero. Una su tutte: la capacità di resistere alla burocrazia.
Per chi fosse interessato: INFORMAGIOVANI: Giovani e Impresa
Dunque ora il numero è tratto: 2.400.000. Che per un partito (che non c'è) sarebbero bei voti. Forse sarebbe anche ora che... #partiteiva
Una cosa mi pare di assoluta evidenza: i più (politici e governo compresi) hanno un'idea molto approssimativa di come funziona una filiera produttiva e di quante sono le imprese coinvolte anche solo per fare arrivare a casa delle persone un litro di latte o un tubo di dentifricio. Cosa che mi spiega tragicamente il perché di tante norme e provvedimenti astrusi del passato e del presente. Tutte decisioni prese anche in buona fede, per carità, ma è in buona fede anche il passante ignorante che ti fa alzare e ti fa bere un bicchier d'acqua dopo una incidente in moto.
Sembra proprio che ad agosto, almeno a Roma, sia quasi impossibile trovare un notaio per una costituzione di azienda.
Da più parti leggo di scenari potenziali di "adozioni": imprese consolidate che adottano startup, startup che adottato imprese consolidate. In entrambi i casi tutto mi suona come decisamente artificioso e poco realistico.
E' sbagliato il presupposto di partenza, ovvero che ci sai un soggetto forte ed uno debole. Ovviamente ognuno dei soggetti vorrebbe essere considerato quello "forte", nella posizione di negoziare il ruolo di comando.
L'Emilia è stata colpita da un terremoto. Non una scossettina, una brutta botta che ha fatto morti e danni. Tra i danni ingenti, molti danni a caseifici che producono il Parmigiano Reggiano, simbolo di una regione e della cucina italiana. Migliaia di forme di Parmigiano, che aspettavano tranquille nei capannoni di stagionatura di raggiungere i 18, 24 o 30 mesi per essere commercializzate sono rimaste danneggiate per la caduta dagli scaffali.
Non entro nel merito (anche se la tentazione ce l'avrei) di come fossero realizzati i capannoni e di come quegli scaffali altissimi sfidassero leggi della fisica e buon senso, ma non è questo il punto e non è questo il momento.
A qualcuno è venuto in mente di cercare di vendere il parmigiano danneggiato direttamente dalla fabbrica, intero (si fa per dire) o grattugiato. Fin qui nulla da dire: iniziativa intelligente, un possibile aiuto immediato e concreto ai produttori per ripartire. I guai sono cominciati - io almeno così la vedo - quando si è cominciato a parlare di prezzi al kilo, di come pagarlo, di come riuscire a averlo. Abbiamo capito subito di essere in Italia: pezzature incerte, pagamenti anticipati con bonifico bancario, modalità e date di ritiro in loco molto poco chiare, prezzi all'ingrosso "scontati" spesso superiori a quelli normalmente praticati al dettaglio in molti supermercati. Un caos insomma.
Mi è tornato in mente quando qualche anno fa l'Etna decise a sorpresa di stupire siciliani e turisti con una eruzione di cenere che annerì tonnellate di arance, fantastiche arance siciliane mature e pronte da cogliere. Arance perfette, perfettamente commestibili (secondo chi poté assaggiarle, una leccornia) ma con la buccia nera di vulcano. Avrei pagato uno sproposito per avere una cassetta di quelle arance, poteva essere una occasione fantastica per promuovere un prodotto eccezionale e invece non se ne fece nulla. Ed io non riuscii a comprarle. Certo, sarei potuto partire da Roma in auto, arrivare in Sicilia ed andarle a comprare dal produttore. Forse, perché se non ricordo male la normativa impediva ancora la vendita diretta da produttore a consumatore.
Poi mi è venuto in mente Amazon. Che non vende Parmigiano Reggiano e non vende arance di Sicilia (non ancora, almeno) e la mostruosa macchina commerciale e logistica che ti permette di ordinare un libro o un computer, un paio di scarpe o un frullatore alle 5 del pomeriggio e riceverlo la mattina dopo alle 11. Pagando con lo strumento che vuoi, da dove sei, spesso senza pagare il trasporto.
E mi è venuto un certo sconforto, non trovando spiegazione nel fatto che abbiamo in Italia dei "giacimenti" quasi infiniti di prodotti eccezionali che il mondo vorrebbe comprare. Ma non con bonifico bancario e ritiro obbligato in fabbrica.
Ieri ho sentito una fotografa usare l'espressione "io ed altri a partita IVA". La voce non aveva una intonazione positiva e nel dirlo ha fatto una leggera smorfia. Eppure stava parlando di un nuovo progetto, un progetto condiviso con "gli altri a partita IVA", il progetto di una startup.
Io me lo ricordo molto bene quando, cento anni fa, aprii la mia prima partita IVA. Ero passato, in pochi istanti (e dopo una lunga fila...) dallo status indefinito di ex-studente a quello di imprenditore.
Quando uscii dall'Ufficio IVA con in mano il mio "certificato di attribuzione" ero gasatissmo, ero altro tre metri e camminavo senza toccare il terreno. Non avevo ancora trent'anni (la mia è stata una vocazione imprenditoriale tardiva, secondo molti parametri di oggi) ed ero certo avrei conquistato il mondo.
Di una cosa sono certissimo, la mia voce era decisa e ottimista ed avevo stampato in faccia un sorriso a 64 denti. Oggi, cento anni dopo, non ho ancora perso quella voce e quel sorriso e vedere una "giovane partita IVA" così poco felice mi ha intristito un po'.
Da che mondo è mondo c'è una soglia fisIologica anche per le gabelle, una soglia oltre la quale non ha senso andare. Se tolgo al tartassato tutte le patate che ha prodotto, non gliene lascio per mangiare e per seminarne di nuove, l'anno dopo il tartassato (sempre che sia sopravvissuto) sarà fuori le mura del castello ad elemosinare una ciotola di zuppa.
27. febbraio 2012 15:23
by Alessandro Nasini
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Leggo e sento da alcuni giorni a questa parte un sacco di appelli accorati a favore dei lavoratori della Foxconn, l'azienda cinese che produce molti dei prodotti di giganti della ICT come Apple, HP ed altri.
Appelli accorati a favore di operai e tecnici che (almeno a quanto trapela) lavorerebbero con turni massacranti e stipendi assai miseri, in una condizione di quasi schiavitù. Non ho sentito però fare la seguente affermazione: "dobbiamo accettare il prezzo della tecnologia e smettere di credere che sia possibile avere bassi prezzi senza un prezzo sociale".
Ho preso la tecnologia come spunto, perché mi sono fatto due conti al volo: per dare all'operaio che assembla un iPad uno stipendio mensile più decente (e magari consentirgli di lavorare un numero di ore sostenibile), basterebbe probabilmente pagare un iPad 20 dollari in più.
Sostituite ora "iPad" con un qualsiasi altro oggetto hi-tech e fate le debite proporzioni. Ma se volete semplificare, fate lo stesso conto con la camicia che indossate, con la vostra bici, il frullatore o qualsiasi altro prodotto di quelli che un tempo costavano un certo prezzo, ed ora costano la metà. Io credo sia necessario tornare a dare al lavoro di ognuno, specializzato o meno, italiano o cinese, il giusto valore ed accettare di pagarne il prezzo.
Voler pagare tutto poco o pochissimo e poi fare i moralisti della domenica mi pare assai poco onesto.